Dopo la prima prova, Il sale delle capre, dove si narrava le storie più che la storia di una comunità, ecco che giunge questo secondo libro narrativo, che a quella prima preda resta attaccata, ma che si è fatta ad un tempo sviluppo e compimento.
Mentre nel primo libro, la comunità viveva delle sue imprese più o meno realistiche qui la comunità resta sullo sfondo. Non che non ci sia, c’è eccome, ma resta a fare da quinta a una storia sviluppata dentro e fuori. La storia di una donna calata in un tempo memoriale di inenarrabili lontananze antropologiche e ambientali, e attraverso la storia di questa donna, la storia di un mondo che non solo non c’è più, ma che stentiamo oggi ad accettare o comprendere che sia mai esistito.
Quella donna lì resta in ogni caso una donna esemplare, per più versi.
Cristina racconta le stagioni della sua vita e nel trascorrere del tempo vede cambiare il suo mondo. Quel mondo fatto di lavoro duro, di parsimonia, ma anche di solidarietà e di amicizia, lei lo vede nella stagione bella della famiglia giovane, poi sconvolto dal vento della guerra e della Resistenza, fino alla stagione malinconica del tramonto.
È lei la montagna che, nell’abbandono, muta attende con infinita speranza un ritorno.
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